MONNALISA'82 

Critica di Pierpaoli

Gli occhi di Monna Lisa sono diventati di ghiaccio, il suo sorriso è naufragato in un terremoto, così come le mani, i capelli ed il paesaggio.

Monna Lisa non è più nell’atto di rivolgere la parola al suo silenzioso visitatore, dopo secoli di colloqui, di dialoghi, confidenze e sussurri, magici e rispettosi, nei luoghi incantati del paesaggio dell’anelito.

 Ora Monna Lisa ha modificato il suo sguardo di sublime comprensione sulle attese dell’uomo, di tenera guida, di sicura e ferma compagna di viaggio.    

 Ora Monna Lisa ha occhi di perla, immersi nella scomposta scena tumultuosa che rappresenta il nostro tempo.

Lo sguardo è ciecamente vitreo, implacabile, esterrefatto; è sguardo estremo ai limiti della speranza, sopra un mondo esploso, in cui è molto difficile trovare valori che incitino a superare il caos dilagante degli egoismi.

L'opera di Antonio Romano non è casuale, ma titanicamente spontanea; essa è stata voluta dal profondo dell'anima in una tensione creativa senza limiti, in cui la mano dell'artista ha seguito il grande cuore, il vero sentimento, la generosa estrosità pervasa di sogno e di "infinito equilibrio".

Non è casuale la cuffia di stelle sulla fronte e sui capelli di Monna Lisa ’82, come un pezzo di firmamento; essa è scaturita dalla vulcanica creatività dell’artista, perché era già presente nella sua anima.

Non è casuale l’abisso di buio che si addensa proprio davanti agli occhi di Monna Lisa ’82, occhi mitici, simili a quelli dell’uccello caro a Minerva, simboli di severa e divina saggezza, fissi nel movimento immobile di instancabile ricerca di se stessi, che caratterizza il vero artista.

Grande Antonio Romano, hai tutta la mia ammirazione.

                                                                                               Pierpaoli

Bari, Giugno 2006

Ierofania di un Sogno.

“Monna Lisa ‘82”, la genesi di un dipinto.

di Grazia Pastore

Un’opera appena abbozzata e poi smarrita. La genesi è nel 1982;  il canovaccio iniziale (l’ovale di un viso sull’avorio della campitura), lo smarrimento e il suo ritrovamento nel 2006. Antonio Romano nello stesso anno in cui lo riscopre, con folgorante emozione lo completa. L’iconografia è ispirata alla Monna Lisa, da Romano assurta a Nume ed emblema della sua arte. Ma la Lisa Gherardini del Giocondo interpretata da Romano non è un tributo al più noto dipinto leonardesco, né una provocazione dadaista o rivisitazione di un’icona-simbolo come in Duchamp, Warhol, Banksy, Basquiat. La sua Gioconda è invenzione iconografica come  l’ “Amalassunta” di Osvaldo Licini, è un ideale, un archetipo, la criptica ierofania di un’entità sacrale e mitologica. Punto di forza dell’estro dell’Autore, Ella è la creatura fantastica che popola il suo immaginario, l’impronta di una suggestione che è trasfigurazione simbolica della sua Musa ispiratrice.

La composizione, un olio su tela di modeste dimensioni, si impone per l’aurea onirica che lo pervade, per il furore creativo che ne esalta gli aspetti decorativi: i tocchi bianchi di colore sulla fronte ne sono perle di ornamento; le linee sinuose dei capelli rimandano agli arabeschi della ghirlanda fiorita sulla chioma della Primavera botticelliana. Il ritmo ondulatorio della capigliatura accresce il senso decorativo della composizione, a suggerire una lettura emotiva più che di pura narrazione. Del volto, solo evocato, si intravede, nel gioco delle sgocciolature, l’intensità azzurra dello sguardo. E in questo caos vitale e dinamico, nel Kronos stratificato dal colore, come da una quinta teatrale si schiude  un varco cromatico dal quale lo sguardo della Gioconda è spinto fuori, attratto a noi da un palpitante richiamo. La presenza allusiva della protagonista sollecita l’emotività, dentro lo scenario di un alfabeto misterioso,  fatto di intricati schemi  pittorici, il cui valore estetico è nel vigore gestuale che dissolve quasi totalmente il soggetto ispiratore.  Il moto vorticoso dei colori, che nell’ intreccio diventa decoro, e lo stile calligrafico, quasi un automatismo di stampo surrealista,  sono il nucleo della poetica di Romano. Nei fitti intrecci di tinte, distribuite con pulsare ritmico nel dripping, l’energia del segno ne enfatizza la forza espressiva: le linee sono ora marcate ora diradate; altrove il segno grafico diventa più lieve ed accarezza la composizione mutandosi in tocchi di colore non naturalistici, distribuito più fluido, o a macchie dense e compatte, o stratificato e modellato come fosse materia scultorea. La Monna Lisa di Romano, opera iconica, simbolo di femminilità, o semplicemente allegoria della vita, non mostra, come il suo nobile originale, il sorriso enigmatico ma, nelle forme dissolte dal gesto pittorico, solo l’azzurro degli occhi, altrettanto sfuggente e gravido di mistero. Nella sua singolare interpretazione l’Autore rende una composizione che è ancora più enigmatica della stessa protagonista, ambientata in un setting indefinito che richiama il mare (le perle tra i capelli) o un’improbabile vegetazione silvestre (quella della terra lucana). Romano plasma un’atmosfera di attesa e di mistero, pari a quella che da secoli circonda la biografia della Gioconda. Personificazione che presiede l’Enigma del tempo, Ella è leggenda, come il racconto che la vuole sepolta in Lucania.  E dalle tessiture di un’opera così arcana e voluttuosa, l’orma velata della fisiognomica di un volto si estende ad interloquire con noi astanti, adornata dalla infiorescenza delle cromie. Celato dal colore, e dalle linee sinuose ed intrecciate,  in un sipario mai totalmente svelato è il canto di una Monna Lisa senza tempo.    

Potenza, maggio 2017           

Grazia Pastore - Giornalista Critico d’Arte